Archivio mensile:Maggio 2014

NAO: istruzioni per l’uso

Una sintesi sulle modalità di utilizzo dei nuovi anticoagulanti orali.

I nuovi anticoagulanti orali (dabigatran, rivaroxaban, apixaban, edoxaban) stanno prendendo sempre più piede sia nel paziente con fibrillazione atriale sia nel tromboembolismo venoso [1].

E’ quindi utile, per il medico pratico, una breve sintesi sulle modalità del loro utilizzo.
Per la stesura di questa pillola si è fatto riferimento alle raccomandazioni delle linee guida .

Gli esami che vanno richiesti nel paziente che deve iniziare una terapia con i NOACS (New Oral Anticoagulants):

esame emocromocitometrico ed esami di funzionalità renale ed epatica.

A distanza di circa un mese valutazione clinica per determinare:
1) la compliance
2) se sono comparsi eventi trombotici/emorragici o effetti collaterali
3) se il paziente assume farmaci OTC che potrebbero interagire con l’anticoagulante.
Una volta all’anno vanno valutati emocromo e funzionalità renale/epatica.
Un caso particolare è rappresentato dal paziente con insufficienza renale cronica. In questo caso si consiglia un controllo della funzione renale ogni 6 mesi per valori di clearance della creatinina compresi tra 30 e 60 ml/min e ogni 3 mesi per valori inferiori.
Anche negli anziani (oltre i 75 anni) si può prevedere un controllo della funzionalità renale due volte all’anno.

Come è noto per i nuovi anticoagulanti orali non è necessario il monitoraggio dei parametri coagulativi. Tuttavia vi possono essere condizioni particolari di emergenza in cui è necessario valutare l’effetto anticoagulante (per esempio in caso di evento emorragico o trombotico, oppure se si deve procedere ad un intervento chirurgico o quando vi è una insufficienza renale/epatica).
Poichè il massimo effetto anticoagulante si ha circa 3 ore dopo l’assunzione di questi farmaci, bisogna tener conto di questo dato quando si valutano i parametri coagulativi.
I test più utili sono l’aPTT per i dabigatran e il PT per rivaroxaban. E’ possibile tuttavia solo una valutazione “qualitativa” dell’effetto anticoagulante, non quantitativa. Per cui un’ alterazione di tali parametri può indicare un aumento del rischio emorragico, che non può tuttavia essere quantificato.
Per il vero esistono anche dei test per la valutazione quantitativa (per esempio il test di trombina diluito e i test cromogenici) che però non sono facilmente disponibili e non ancora ben definiti nei loro valori standard.

Altro punto pratico di interesse per il medico sono le eventuali interazioni farmacologiche.
Per alcuni farmaci le interazioni con i nuovi anticoagulanti orali sono note (verapamil, chinidina, eritromicina, claritromicina, dronedarone, amiodarone, itraconazolo, ketonazolo, rifampicina, etc), per altri i dati sono ancora pochi.
Più che considerare una lunga lista, trattandosi di un argomento ancora oggetto di studio, a nostro avviso è consigliabile, in caso di politerapia, consultare sistematicamente la scheda tecnica dell’anticoagulante per valutare se sia necessario aggiustarne il dosaggio o se una determinata associazione sia o meno controindicata.

Un caso particolare è rappresentato dal paziente che è in terapia con un anticoagulante e deve passare, per ragioni varie, ad un anticoagulante diverso.
Se il paziente assume warfarin si procede come segue: si sospende il warfarin e si inizia dabigatran o apixaban appena INR è inferiore a 2, rivaroxaban appena INR è inferiore a 3.
Se invece il paziente assume uno dei nuovi anticoagulanti orali e si decide di passare al warfarin quest’ultimo deve essere somministrato 3 giorni (2 giorni se clearance della creatina compresa tra 30 e 50 ml/min) prima della sospensione della terapia precedente: in pratica si somministrano insieme per 3 giorni (2 giorni se insufficienza renale) warfarin e nuovo anticoagulante orale e poi si sospende quest’ultimo.
Se il paziente è in trattamento con eparina a basso peso molecolare o fondaparinux il nuovo anticoagulante orale deve essere somministrato 2 ore prima dell’ultima dose di eparina o fondaparinux.
Se invece si passa da un nuovo anticoagulante orale ad eparina a basso peso molecolare o fondaparinux, questi ultimi devono essere assunti 24 ore dopo l’ultima dose del farmaco che si vuol sospendere.
Ovviamente durante il passaggio da un regime ad un altro è opportuno controllare frequentemente l’INR.

Infine il medico potrebbe trovarsi di fronte ad un il paziente che ha dimenticato una dose: questa può essere assunta se è passata meno della metà del tempo che intercorre tra due dosi, altrimenti va “saltata”.
Se il paziente, per errore dovesse assumere due dosi, la successiva va “saltata”.
Se si sospetta o vi è stato sovradosaggio si consiglia il carbone attivo per ridurre l’assorbimento del farmaco.

Cosa bisogna fare nel paziente con insufficienza renale cronica.

Un primo dato da considerare è che il dabigatran è eliminato per la maggior parte per via renale, mentre gli altri nuovi anticoagulanti orali lo sono in misura minore (25-50%). Per questo motivo il dabigatran si può usare per clearance della creatinina >/= 30 ml/min, apixaban e rivaroxaban per valori >/= 15 ml/min.
Le dosi variano a seconda del valore della clearance della creatinina:
– dabigatran: 110 mg x 2/die se clearance della creatinina < 50 ml/min
– apixaban: 2,5 mg x 2/die se clearance creatinina < 30 ml/min.
– rivaroxaban: 15 mg una volta al giorno se clearance della creatinina < a 50 ml/min.
Nei pazienti in dialisi le linee guida consigliano warfarin (per i nuovi anticoagulanti orali per ora non ci sono dati).
La funzionalità renale va controllata almeno una volta all’anno durante la terapia con i nuovi anticoagulanti orali. Se la clearance della creatinina è inferiore a 60 ml/min o nei pazienti anziani è preferibile un controllo almeno ogni 6 mesi e ogni 3 mesi per valori inferiori a 30 ml/min.
Un controllo è consigliato anche durante una malattia acuta.

Una eventualità che potrebbe presentarsi è quella del paziente che durante terapia va incontro ad un evento emorragico. Anche se i nuovi anticoagulanti hanno,
secondo gli studi, un minor rischio emorragico del warfarin, purtroppo per il momento non esiste un antidoto che contrasti la loro azione. Oltre a questo non esistono al momento test di laboratorio che suggeriscano con certezza se vi è un aumento del rischio emorragico, come si è già visto, anche se aPTT e PT possono essere di aiuto.
In caso di emorragie di gravità moderata oltre alle misure di emostasi locale, alla infusione di fluidi, di emazie e/o piastrine se necessario, si può ricorrere al plasma fresco. Altre misure possono essere valutate: acido tranexamico, desmopressina. La dialisi può essere presa in considerazione per il dabigatran.
In caso di emorragie pericolose per la vita, oltre alle misure precedenti si può ricorrere al concentrato di complesso protrombinico o al fattore VII attivato, anche se i dati disponibili sono scarsi.
Nel caso di ictus emorragico si deve sospendere immediatamente l’anticoagulante ed eventualmente si può ricorrere alla somministrazione di concentrati piastrinici o di plasma fresco. In realtà mancano studi per stabilire quale sia la condotta migliore. In seguito l’anticoagulante andrebbe evitato, a meno che non si ritenga che il rischio emorragico sia minimo e quello tromboembolico molto elevato nel qual caso il nuovo anticoagulante andrebbe iniziato dopo 10-14 giorni.

In caso di ictus ischemico se l’anticoagulante è stato somministrato da meno di 48 ore la trombolisi non dovrebbe essere eseguita, mentre può essere presa in considerazione la rivascolarizzazione meccanica del vaso occluso. Se si è incerti circa il tempo trascorso dall’ultima somministrazione di anticoagulante vanno dosati aPTT (per dabigatran) e PT (per inibitori del fattore Xa) e se alterati la trombolisi non si deve eseguire. Dopo la fase acuta l’anticoagulante andrebbe ripreso dopo 24 ore se si è trattato di TIA, dopo 3-6 giorni se si è trattato di ictus ad estensione lieve-media, dopo 2-3 settimane in caso di ictus molto estesi.

Un caso che si potrà presentare con una certa frequenza è il paziente che deve essere sottoposto a intervento chirurgico.
Se l’ intervento chirurgico è urgente bisogna sospendere subito l’anticoagulante.
Nel caso di interventi programmati bisogna anzitutto considerare il rischio di sanguinamento dell’intervento.
Se l’intervento non è gravato da rischio emorragico importante dal punto di vista clinico (per esempio: coronarografia, procedure dentarie, interventi per cataratta o glaucoma, impianto di pacemaker) lo stesso può essere effettuato 12 ore dopo l’ultima assunzione dell’anticoagulante in casi di doppia somministrazione giornaliera o dopo 24 ore se si tratta di monosomministrazione.
Se si prevede che ci sia un certo rischio emorragico conviene interrompere l’anticoagulante 24 ore prima della procedura.
Se si prevede, al contrario, un rischio emorragico elevato bisogna interrompere l’anticoagulante 48 ore prima (3 giorni prima in caso di insufficienza renale, 4 giorni prima se la clearance della creatinina è inferiore a 50 ml/min).
Le linee guida non considerano la terapia ponte con eparina per mancanza di studi.
La ripresa dell’anticoagulante va effettuata generalmente 24-48 ore dopo l’intervento.
Se si prevede che ci sia un rischio di tromboembolismo venoso (per esempio dopo interventi che richiedono l’immobilizzazione) è opportuno, dopo circa 8 ore dall’intervento, somministrare una eparina a basso peso molecolare e iniziare l’anticoagulante dopo 2-3 giorni.

Un caso particolare è rappresentato dal paziente con fibrillazione atriale che si deve sottoporre a cardioversione. Il nuovo anticoagulante orale deve essere prescritto almeno tre settimane prima della procedura e poi deve essere continuato per almeno un mese. E’ sempre necessario eseguire un ecocardiogramma trans-esofageo per escludere la presenza di trombi endocavitari.

Resta da esaminare il caso dei pazienti oncologici. Questi pazienti, con neoplasia in fase attiva, sono stati esclusi dagli studi con i NOACS, per cui se il paziente è in fibrillazione atriale è preferibile usare l’eparina non frazionata oppure un inibitore della vitamina K.
Diverso il caso di un paziente già in trattamento con un anticoagulante di nuova generazione in cui venga posta diagnosi di neoplasia. In generale la terapia anticoagulante può essere continuata ( da ridurre di dosaggio o interrompere se si intraprende un trattamento che sopprime l’attività midollare). In tutti i casi, comunque, è necessaro un monitoraggio dell’emocromo, della funzionalità renale ed epatica.

Renato Rossi

Fonte: http://www.pillole.org

Bibliografia

1. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=5839

2. Heidbuchel H et al. EHRA Pratical Guide on the use of new oral anticoagulants in patients with non-valvular atrial fibrillation: executive summary. European Heart Journal. Pubblicato online il 16 aprile 2013. Doi:10.1093/eurheart/eht134.
http://tinyurl.com/ma8gnur